L’Italia è una regione vinicola colorata, gioiosa, talvolta anche un po’ caotica: proprio come il Paese stesso. Qui il vino, insieme al pane e l’olio d’oliva, non manca mai a tavola. La vite cresce in tutte le regioni dello Stivale. Il Paese conta 690.000 ettari di vitigni e ogni anno si batte in un tête-à-tête con la Francia per il titolo di maggiore produttore ed esportatore al mondo.
Una regione in crescita: con il Negroamaro, il Primitivo e il Nero di Troia.
Terreni vulcanici su cui si sentono a casa soprattutto varietà autoctone come l’Aglianico.
Una formula per la memoria: Emilia = Lambrusco, Romagna = Sangiovese.
Il Friuli è la patria di alcuni vitigni autoctoni e particolarmente rinomato per le sue grappe delicate.
Il tacco della penisola italiana è un trionfo di antiche varietà a bacca nera.
La regione dove si trova Napoli è caratterizzata da varietà locali come l’Aglianico.
Su questi terreni vulcanici il Trebbiano e il Merlot si sentono particolarmente a proprio agio.
Da questa regione che si affaccia sul Mediterraneo nasce l’amabile Pigato bianco.
Dal Franciacorta arrivano dei rossi corposi e dei vini spumanti di alta qualità.
I protagonisti delle Marche sono il Verdicchio bianco e i rossi prodotti con le uve Montepulciano.
Prima masse, oggi classe, grazie al Bombino bianco, al Trebbiano e all’Aglianico.
Questa regione è conosciuta per i grandi vini rossi, ma anche per alcune specialità bianche.
Sono tipici di questa isola baciata dal sole varietà autoctone antichissime e il Vermentino.
Una vera Eldorado per gli esploratori: una meta dove apprezzare sia varietà locali che internazionali.
Il clima piuttosto fresco del Sud Tirolo regala bianchi fruttati e rossi profumatissimi: salute!
La regione «con il vino nel cuore» dove nascono Sangiovese e Supertuscan d’eccellenza.
Una regione in crescita che si distingue soprattutto per le uve Teroldego.
I rossi e i bianchi umbri fanno brillare gli occhi per la loro la incredibile varietà.
Il fiore all’occhiello di questa bellissima regione è e rimane l’Amarone.
La coltura della vite in Italia ebbe origine in Sicilia. Furono i Greci a piantarvi i primi ceppi quando arrivarono nel 735 a. C. Da lì la viticoltura si diffuse piano piano su tutta la penisola. Già nel terzo secolo avanti Cristo tutta l’Italia era costellata da numerosi vitigni, dalla pianura padana a nord fino alla Campania a sud. Il prosperare della città di Roma e lo sviluppo delle sue rotte commerciali diede una spinta anche al mercato del vino.
La seconda epoca d’oro, dopo il crollo dell’Impero Romano e il conseguente subbuglio, fu il Medioevo. Tra il 1100 e il 1500 la popolazione italiana era raddoppiata raggiungendo un numero stimato di nove milioni di persone. Le famiglie più benestanti si spostarono nella ridente città di Firenze dove si costruirono un vero patrimonio, ne sono un esempio la dinastia di banchieri Antinori o la Famiglia Frescobaldi, che ha costruito la sua fortuna sul commercio. Una parte del patrimonio lo investirono in terreni coltivati a vite dai contadini in cambio di una percentuale sulla vendemmia.
Già nel Medioevo gli italiani iniziarono a esportare i loro vini. All’epoca l’Italia non era un’unità politica unificata: circolavano diverse valute, le dogane separavano il confine tra le regioni e c’erano molte restrizioni commerciali. Dal XVI fino al XVIII secolo, inoltre, gran parte dello Stivale era occupato da potenze straniere come Spagna, Francia e Austria. Per questo paradossalmente era più facile inviare il vino in Svizzera o in Germania, Spagna o Inghilterra, a seconda di quale fosse il Paese dominante del momento. Fu così che anche le creazioni vinicole dello Stivale conquistarono anche l’estero.
Non si trattava certo degli stessi vini di oggi. Il Barbera e il Barbaresco erano dei vini dolci. Molti vini bianchi maturavano sulle bucce, assomigliando quasi a una prima forma di «Orange Wine», che oggi sono di nuovo in voga.
Nel 1861 fu fondato il Regno d’Italia. Unità e autodeterminazione portarono una crescita economica. Allo stesso tempo l’Italia dovette cercare una nuova definizione di sé dopo anni di dominio straniero. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale si raggiunse finalmente una vera stabilità politica ed economica.
Allo stesso modo anche i viticoltori italiani hanno avuto bisogno di tempo per ritrovarsi. Da una parte avevano in mano un enorme tesoro di varietà autoctone. Dall’altra, dopo la crisi della fillossera e le guerre mondiali preferirono utilizzare delle varietà di vitigni più internazionali. Tradizionalmente i vini italiani venivano affinati in grandi botti di legno, poi negli anni ’80 e ’90 ci fu il boom delle barrique. Passata la fase in cui la barrique era quasi onnipresente, oggi nel paesaggio vinicolo del Paese troviamo una grande varietà nonché il ritorno alle tradizioni locali.
Lo Stivale italiano è lungo circa 1200 chilometri da nord a sud. Dalle vette innevate delle Alpi fino all’infuocata terra della Sicilia qui i vitigni trovano i terreni più variegati. L’uva a bacca nera più diffusa nel Paese è il Sangiovese. Lo si conosce come ingrediente dei grandi vini della Toscana: il Chianti, il Brunello di Montalcino e il Vino Nobile di Montepulciano. Nella Toscana del sud, più calda, in Maremma, si sentono invece più a casa varietà come Bordeaux, Cabernet Sauvignon o Merlot. Questa zona vinicola iniziò a far furore negli anni ‘70 con i cosiddetti «Supertuscan»: vini prodotti da quelle uve francesi che all’epoca non erano ancora ufficialmente autorizzate. Nomi come Sassicaia e Ornellaia emozionano ancora oggi gli amanti del vino di tutto il mondo.
A nord del Paese il Piemonte regala grandi gioie con i suoi tipici vini d’eccellenza come il Barolo e il Barberesco, prodotti con le uve Nebbiolo. Dal Veneto arriva il sontuoso Amarone nonché le bollicine che hanno conquistato il mondo, il Prosecco. Vini spumanti fatti con metodo champenoise vengono invece prodotti in Franciacorta, in Lombardia, ma anche nella zona del Trentodoc, mentre i migliori vini bianchi fermi nascono in Friuli: Friulano è il nome dell’uva locale.
Attualmente il Sud Italia sta facendo rivivere le varietà autoctone. Dalla Campania, patria delle rovine di Pompei e del Vesuvio ancora attivo, arrivano le varietà rosso fuoco con grande potenziale d’invecchiamento come l’Aglianico così come anche il Greco di Tufo. Quest’ultimo deve il suo nome e il suo aroma al tufo vulcanico su cui cresce. La Puglia da un po’ di anni celebra invece i suoi successi con il Primitivo, un vino vellutato e beverino. E la Sicilia, incredibile ma vero: attualmente fa parlare di sé con uve bianche autoctone come Catarratto e Inzolia.
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