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Alla ricerca di tesori nascosti tra cantine e botteghe storiche.

Percorrendo la direttrice che collega Siena a Firenze, a poche centinaia di metri dall’antica via Cassia, nascosta da un manto verde e incastonata tra le colline della Val di Pesa, si cela la porta di accesso alla nuova Cantina dei Marchesi Antinori.

Siamo nella casa del Chianti Classico, a Bargino, in provincia di Firenze, in quella che dal 2012 è la dimora più rappresentativa della Famiglia dei Marchesi Antinori.

La cantina di Bargino è la testimonianza dell’antico legame di questa Famiglia patrizia con la propria terra.

Il racconto vitivinicolo degli Antinori ebbe inizio nel 1385, quando Giovanni di Piero Antinori entrò a far parte dell’Arte Fiorentina dei Vinattieri. Attraverso 26 generazioni, questa Famiglia si è sempre dedicata al mondo del vino con scelte innovative e coraggiose, mantenendo sempre inalterato il rispetto per le tradizioni.

Il sogno del Marchese Piero Antinori era di realizzare uno spazio in grado di raccontare tutte le sfumature del mondo del vino, dalla coltivazione alla produzione. Questa cantina, costruita interamente con materiali locali, rappresenta appieno il grande rispetto per l’ambiente e per il paesaggio toscano, coniugando armoniosamente tradizione e innovazione.

In costante dialogo con la natura e perfettamente integrata nel paesaggio, la cantina Antinori nel Chianti Classico è stata progettata per coniugare funzionalità produttiva e bellezza estetica. Ricoperta da vigneti e nascosta tra ulivi e boschi, la cantina si distingue per il basso impatto ambientale e l’alto risparmio energetico. Essa simboleggia lo storico legame che lega la famiglia Antinori con il territorio vitivinicolo del Chianti Classico in cui si trova.
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Frutto di sette anni di lavoro, iniziati nel 2005, la cantina è stata realizzata da Marco Casamonti, seguendo le precise indicazioni della famiglia Antinori.

Questo labirinto di volte sinuose di colore rosso mattone è costruito con materiali naturali quali cotto dell’Impruneta, legno e corten (detto anche acciaio patinato). Il tutto è incentrato sul legame profondo e radicato con il territorio. Le linee e le geometrie sono essenziali mentre i colori caldi richiamano quelli della terra, per una perfetta integrazione nel paesaggio circostante.
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Il percorso che porta dall’acino fino al prodotto finito nel calice, passa attraverso l’innovativa architettura della cantina ipogea, che grazie alla forza di gravità sposta uve, mosto e vino da un livello all’altro senza utilizzare pompe, evitando di stressare il prodotto. L’inerzia termica delle murature interrate, inoltre, consente di evitare il condizionamento artificiale della cantina, abbassando la temperatura per merito di una ventilazione naturale studiata fin dalla progettazione.

Passeggiando sui ponti sospesi, a pochi metri dai tini dove fermenta il mosto, si assiste alla fase di creazione del vino come fosse uno spettacolo teatrale, osservando cantinieri e tecnici intenti alla produzione di questo prezioso nettare. Un salotto intimo, silenzioso, dove apprezzare tutte le fasi di lavorazione, dalla vigna al momento della degustazione.
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Marchesi Antinori nel Chianti Classico è un luogo pieno di armonia, luce, equilibrio, dove si respira la voglia di far conoscere la realtà vitivinicola toscana.

Per usare le parole del Marchese Piero Antinori: «I vini migliori nascono sempre in paesaggi armoniosi, ricchi di storia e personalità, la cui bellezza va a finire in qualche modo nel bicchiere».

All’interno della Cantina, il Museo presenta una parte della collezione storica di Palazzo Antinori a Firenze, insieme a interventi site-specific di artisti internazionali del panorama contemporaneo, che hanno creato opere attente alle tematiche e alla memoria del paesaggio.

Nel 2022, questo gioiello architettonico del Chianti Classico è stato premiato da oltre 500 esperti del settore vinicolo e turistico con il titolo di migliore cantina al mondo secondo la World’s Best Vineyards, classifica internazionale che raccoglie le migliori eccellenze dell’enoturismo mondiale.

Per l’ora di pranzo, dopo aver degustato i Cru più rappresentativi della Famiglia Antinori, ci spostiamo sul tetto della Cantina, dove si trova il ristorante Rinuccio 1180.

Questo ampio ristorante, dedicato a Rinuccio degli Antinori, capostipite della famiglia, immerge l’ospite nelle dolci colline circostanti, adornate da oliveti e pievi millenarie. Circondati dallo straordinario panorama delle colline del Chianti Classico, i sensi della vista e del palato s’incontrano nei prodotti di questa terra e nei piatti di questo ristorante. L’ambiente confortevole e informale di Rinuccio 1180 si ritrova anche nel menu. Le proposte si ispirano alla tradizione; piatti che sono l’interpretazione del territorio chiantigiano con un tocco di contemporaneità, accompagnati dalla più ampia selezione dei vini delle tenute Antinori. Una cucina semplice caratterizzata dai sapori autentici, realizzata con prodotti del territorio in accordo con il ritmo delle stagioni.

Dopo pranzo decidiamo di spostarci da Bargino. Percorrendo le dolci colline toscane adornate da cipressi e alberi d’olivo, ci dirigiamo verso Volterra.

Questo borgo che si erge su una collina contornato da una possente cinta muraria è stato uno dei più importanti insediamenti etruschi e medioevali della Toscana.

Volterra, definita dal D’Annunzio «Città di Vento e di Macigno», è la protagonista indiscussa della lavorazione delle pietre, in particolare dell’alabastro, all’apparenza possente come il marmo, ma in realtà più morbido e malleabile.

Modellato dai mastri alabastrai che lo lavorano da secoli, l’alabastro, dai colori più diversi, è sempre stato ed è tutt’ora il protagonista indiscusso di questo storico borgo.
Guillaume, il nostro accompagnatore e guida turistica locale, ci comunica che visiteremo la bottega di Omero Cerone, mastro alabastraio e figura iconica di questi luoghi, che da oltre 68 anni, fedele alle tradizioni locali, plasma questa pietra.

Arrivati nella bottega di Omero l’atmosfera che si respira è quella di un luogo fuori da qualsiasi collocazione spazio-tempo.

La polvere finissima e bianco brillante che l’alabastro gessoso produce quando è scavato, dona ai ferri e ai tavoli da lavoro un’aura d’altri tempi.
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Omero, parlandoci del suo lavoro, ci tiene a specificare che la produzione degli oggetti ha attraversato fasi diverse: dai manufatti di arte sacra a quelli più comuni come vasi, porta gioie, lampadari o semplici oggetti d’arredamento.
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Fino agli anni Sessanta del secolo scorso la maggior parte delle botteghe si trovavano nel centro storico; successivamente avvenne una forte migrazione verso le periferie, insediando grandi capannoni, laboratori decisamente più spaziosi e meno costosi negli affitti. Agglomerati industriali si svilupparono a San Quirico, a San Lazzero e a Santo Stefano, dove in quest’ultimo quartiere risiede anche Omero Cerone, maestro tornitore.

«Quella dell’alabastraio era una bottega che si riconosceva a distanza per la soffice incrostazione di polvere bianca sul muro esterno» precisa Omero, «la porta d’ingresso era mantenuta generalmente chiusa da un ritaglio di alabastro che scorreva appeso a due carrucole; la finestra invece stava costantemente aperta ed era facile affacciarsi da fuori per guardare dentro o per parlare con gli alabastrai che lavoravano» Uno scenario sempre più raro, al giorno d’oggi.

«Di queste botteghe però ne sono rimaste poche da quando è arrivato il motore a fare anche più polvere. Oggi le cose sono un po‘ cambiate per l’evoluzione dei tempi. Nuovi locali, più spaziosi e moderni sono stati creati alla periferia della città», ma poche sono le figure caratteristiche di vecchi alabastrai che sopravvivono.
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Della bottega artigiana tradizionale volterrana oggi rimangono pochi esemplari, dove è ancora possibile respirare quell’atmosfera magica che evoca questo tuffo nella tradizione, mentre si assiste alla creazione di qualcosa di unico; quello di Omero non è un semplice luogo di lavoro, ma un patrimonio antico da preservare e tramandare ai posteri.